Sbagliando … e correggendo, si impara

Sbagliando … e correggendo, si impara

Scuola è movimento ed è principalmente questo che a mio parere la rende affascinante: l’insegnante è parte integrante del percorso educativo e di crescita che prima ancora di fare come cittadini i ragazzi fanno come persone.

Scuola è movimento: il cittadino si forma all’interno di un cammino che deve coinvolgere tutta la persona e portare ad una progressiva consapevolezza di se, delle proprie potenzialità, dell’importanza delle relazioni con gli altri.

Credo che un insegnante non possa prescindere da questa profonda convinzione insieme a quella di essere anche lui stesso sempre in cammino e in crescita.

Scuola è movimento; è trovare i modi giusti di comunicare cercando di capire cosa tenere di antico, come adattare l’antico al nuovo e che spazio dare a quest’ultimo; è cercare di integrare relazione, cultura, crescita, ricerca, permeandole di “passione educativa”.

Guardare indietro, vivere il presente per poter guardare avanti: questa perla preziosa che la scuola può offrire credo sia il mezzo con cui interpretare in modo costruttivo questo tempo in cui l’insegnamento in Italia è soffocato da tantissime problematiche accumulate negli anni, tempo in cui si parla di “Europa unita” e la scuola italiana è invece bloccata nel tentativo di sbrogliare grosse e vecchie matasse.

In questo “groviglio” penso che si debba comunque cercare  di essere persone di speranza.

A mio parere occorre lavorare con coraggio e determinazione per rafforzare la nostra identità culturale, sociale valorizzando il nostro patrimonio che è ricchissimo in moltissimi ambiti: artistico, umanistico, tecnico, scientifico. Non possiamo essere cittadini europei se non maturiamo prima di tutto il nostro essere italiani in Europa.

I 150 anni dall’unità di Italia hanno contribuito a risvegliare un po’ le coscienze ma credo che la scuola, dell’obbligo in particolare, debba fare ancora molto per fortificare il senso di appartenenza alla nostra nazione.

Come posso andare in Europa se non riesco a caratterizzarmi profondamente come cittadino italiano? Posso portare per esempio competenze tecniche, ma se non ho maturato consapevolezza dell’evoluzione del contesto storico e culturale all’interno del quale ho potuto acquisirle, come posso intravederne potenzialità e limiti e come posso mettermi in gioco con altre realtà in modo costruttivo?

Credo che la forza dell’Europa stia proprio nella sua enorme ricchezza di culture che interagendo possono creare “forze ed orizzonti nuovi” continuando però anche a caratterizzarsi nella loro “unicità”.

L’Italia ha in questo senso tantissimo da dare e gli insegnanti hanno anche per questo una grossa responsabilità.

Da un lato il dovere di “guardarsi intorno”, di trarre spunti e di cercare modalità di collaborazione con scuole e realtà di altri paesi europei. Dall’altro la responsabilità di far crescere la nostra appartenenza  rivoluzionando per alcuni aspetti il modo di insegnare che è ancora molto legato alla trasmissione di conoscenze astratte. Condurre i ragazzi a maturare competenze indagando, con loro e con passione, percorsi umani affinchè, attraverso di essi, anche loro possano sentirsi protagonisti. Valorizzare di più la storiografia, l’epistemologia, la ricerca e la conoscenza del proprio territorio. Questi  credo siano elementi che contribuiscono enormemente alla costruzione dell’identità della persona e del cittadino.

Come afferma Dubet (seminario ADi “O la scuola o la vita”, 2012) viviamo un tempo in cui “si assiste ad una trasformazione profonda del modo di trasmettere cultura e l’impegno e la motivazione degli alunni non sono più un dato acquisito perché si è persa la certezza del senso dello studio” .

Occorre per questo cercare di capire che cosa del ”vecchio” tenere e che cosa abbandonare per poter costruire su basi nuove. In questo tempo dominato da individualismo e utilitarismo credo ancora che nei giovani di oggi come in quelli di ieri resti comunque costante la ricerca di modelli o il desiderio di costruirsene per poter fare  loro riferimento anche se forse questa ricerca è più nascosta o si cela sotto altre vesti.

Da qui ribadisco l’importanza per il docente di mettersi in gioco, di camminare con i giovani  mettendo maggiormente l’uomo al centro.

Per fare questo sicuramente sono fondamentali cambiamenti dall’alto. Il nostro paese  li richiede con urgenza. Sono però convinta che la realtà si inizi a cambiare anche dal basso, nella passione che mettiamo nel compiere il nostro lavoro che  non è un lavoro che si sceglie se non mettiamo i ragazzi al primo posto, se non amiamo il dinamismo e non siamo disposti a crescere, a collaborare e a mantenere aggiornata la nostra preparazione. Lo Stato deve sostenerci e noi insegnanti non dobbiamo sederci sulle nostre sicurezze.

Per riportare ancora le parole di Dubet “stiamo assistendo ad una fase di massificazione dell’insegnamento secondario in cui le mutazioni culturali delle nostre società hanno profondamente destabilizzato l’antico modello”. Questo sicuramente non aiuta a risvegliare il nostro senso di appartenenza e a valorizzare le nostre potenzialità.

A tale riguardo penso sia fondamentale dare all’Istruzione secondaria di secondo grado (Licei, Istituti tecnici e professionali) un volto caratterizzante meno legato a provenienza sociale o a motivazione allo studio e più legato alla valorizzazione delle risorse e di ciò che ci distingue e ci qualifica a livello europeo e mondiale. Qualcosa sembra si stia muovendo, in particolare per quanto riguarda l’integrazione scuola-lavoro. Pare che gli ITS stiano “prendendo piede”. Questo consentirà di aprire nuove strade.

Esistono però professioni nel campo dell’artigianato che sono uniche al mondo, che qualificano il “made in Italy” e che continuano a rimanere nelle mani di pochi con il rischio di perdersi nel tempo. Queste credo rappresentino una risorsa a cui guardare con più attenzione. La scuola potrebbe fare molto anche per aiutare i giovani a “trasformare gli antichi mestieri in risorse nuove” aiutandoli a risvegliare e riscoprire quella creatività ed inventiva che ci rendono unici da sempre. A questo scopo gli Istituti professionali potrebbero avere un ruolo determinante e diventare sede privilegiata per promuovere queste risorse nei giovani. Non più scuole in cui molti studenti si iscrivono perché non si sentono o non sono considerati adatti a frequentare un liceo o un istituto tecnico.

Una maggiore collaborazione con Confartigianato, potrebbe aprire nuovi canali lavorativi in questa direzione.

Barbara Di Luzio