Giovani tra Lavoro e Crescita

Giovani tra Lavoro e Crescita

Colpisce l’ultimo dato Istat sulla situazione del lavoro in Italia: il livello di disoccupazione tocca il 9,2%, con un esercito di disoccupati di oltre 2,3 milioni di persone. A pagare ancora una volta il prezzo più alto sono i giovani con un tasso di disoccupazione pari al 31,1%. Inoltre secondo le previsioni economiche della Commissione Europea nel 2012 il Pil crollerà dell’1,3%, con una flessione dello 0,7% nel primo trimestre dell’anno e dello 0,2 nel secondo.

La riflessione che il movimento L’Albero vuole proporre riguarda proprio il binomio lavoro crescita. Non c’è dubbio che tra i due aspetti ci sia una stretta relazione. In economia la crescita è in parte dettata dalla capacità di consumo degli individui e delle famiglie che incide direttamente sulla domanda interna. Come dire “tanto più guadagno tanto più posso spendere e tanto più si cresce”. In particolare è nella fascia di età che va dai 20 ai 40 anni che gli individui definiscono i loro orizzonti di vita e di spesa: famiglia, casa, aspirazioni. E’ proprio in questa fascia di età che le persone sono più propense a spendere di più, spingendo in questo modo la crescita, con un forte effetto moltiplicatore. Fra i 20 e i 40 anni in genere poi le persone esprimono il massimo delle loro potenzialità lavorative. Su questo bisogna spingere l’acceleratore ricreando la fiducia e ridando speranza. Non ci vogliamo soffermare su tutte le possibili iniziative che si potrebbero attivare per incentivare il lavoro, sul tavolo di discussione in questo momento ce ne sono molte, ma vogliamo proporre una riflessione su una piaga che purtroppo si sta diffondendo a macchia d’olio nel nostro Paese: il degrado della concezione del lavoro.

Avete mai provato a parlare con qualche giovane della sua situazione lavorativa? In tanti, troppi casi, si percepisce il loro disagio rispetto alla mancanza di riconoscimento del proprio dovere di lavorare. Moltissimi stagisti lavorano senza ricevere alcun tipo di formazione e svolgono mansioni assegnate normalmente ai dipendenti: un esempio eclatante è rappresentato dagli annunci per la ricerca di commesse-stagiste. Tanti gli altri esempi che si potrebbero fare: pensiamo ad alcune figure professionali con Partita Iva che in realtà svolgono ruoli assimilabili a lavoro dipendente senza avere limitazioni di orario e le tutele proprie di chi ha un lavoro subordinato. Ci sono poi tanti giovani che lavorano con contratto a progetto ma che in realtà sono considerati dai datori di lavoro come dipendenti. Non dimentichiamo poi lavoratori dipendenti che vengono pagati per numero di ore decisamente inferiore a quelle effettive, o i ricercatori che non hanno un minimo di tutele e non si vedono riconosciute nemmeno le ferie. La situazione non è dovunque così difficile, ma in molti casi, e in molti contesti, stiamo assistendo a quello che per noi è un deciso deterioramento della concezione del lavoro. In particolari momenti di crisi, come quello che stiamo vivendo oggi, è necessario stringere i denti e darsi da fare anche più del dovuto se necessario; bisogna però aumentare l’attenzione affinché una situazione già difficile non degeneri.

Per questo da tempo L’Albero sostiene sia necessario svolgere delle verifiche più puntuali sulle situazioni lavorative non sindacalizzate e inasprire le sanzioni per i casi di abuso.

Potrebbe bastare, ad esempio, porre un obbligo generalizzato di verifica contrattuale; fare cioè in modo che ciascun lavoratore sia vincolato a verifiche contrattuali obbligatorie sulla propria situazione al fine di far emergere le eventuali situazioni di illegalità. Per ottenere questo risultato non sarebbe per forza necessario ricorrere ad un sindacato; basterebbe rivolgersi ai centri per l’impiego o a consulenti del lavoro.

E’ inoltre importante incentivare la contrattazione decentrata, la produttività e agevolare le assunzioni e le attività produttive; tutto questo nella massima trasparenza e correttezza, a tutela del mercato e, in primis, del lavoro.

A tal proposito ci ha colpito la “discesa in campo”, a Padova come in altre città italiane, delle commesse dei negozi contrarie alle aperture domenicali, così come stabilito dall’ultimo decreto del governo. Il problema sollevato non ha riguardato l’apertura domenicale in sé, esistono già molte città turistiche i cui negozi rimangono aperti con orario continuato anche in giorni festivi; semmai il problema è rappresentato dalla turnazione, il riposo, le ore, il salario accessorio ecc.

Noi sottolineiamo anche come sia giusto rivendicare il proprio sacrosanto diritto alla pausa domenicale per poter seguire meglio i propri affetti e la propria famiglia.

Quello che manca, anche in questo caso, è una verifica più puntuale delle condizioni di lavoro. Se si vuole mantenere aperto un esercizio, è quindi evidente che, per esempio, si preveda l’assunzione di nuove figure, anche stagionali o part-time. Qualora i requisiti minimi non venissero rispettati non si dovrebbe permettere l’apertura degli esercizi. In caso contrario il prezzo da pagare si scaricherebbe sulle piccole realtà, non sindacalizzate, dove il dissenso viene taciuto per non rischiare il proprio posto di lavoro.

Infine è inutile anche soffermarsi tanto sull’articolo 18 quando il resto del sistema lavorativo cade a pezzi. L’articolo 18 tutela i lavoratori di aziende con più di 15 dipendenti quando la maggior parte delle aziende italiane rimane al di sotto di tale soglia e soprattutto è al di sotto di tale soglia che si devono ripristinare le tutele lavorative in modo reale e non solo fittizio, sulla carta.

Non servono quindi, a nostro avviso, contrapposizioni ideologiche ma un’apertura nel rispetto dei principi sociali e lavorativi inderogabili, conquistati in secoli di crescita e sviluppo. Servono quindi regole nuove, flessibili ma anche maggior attenzione alle tutele per governare, in un futuro incerto e in situazioni fortemente dinamiche, processi innovativi e nuove opportunità di lavoro.